Weight of Gold, la battaglia psicologica dei campioni olimpionici a caccia dell’oro
Michael Phelps è stato uno dei più grandi olimpionici della storia, di sicuro l’atleta che ha vinto più di tutti in cinque edizioni dei giochi estivi (da Sydney 2000 a Rio de Janeiro 2016) dove ha collezionato in totale 28 medaglie (23 d’oro, 3 d’argento e 2 di bronzo). Per anni è stato il simbolo e l’icona del Comitato Olimpico e Paralimpico degli Stati Uniti; i dirigenti dell’organizzazione sportiva americana consideravano il nuotatore di Baltimora come la migliore delle pubblicità che la loro federazione potesse avere. Così è stato fino a poco tempo fa, almeno fino a quanto lo stesso Phelps non è venuto allo scoperto “denunciando”, attraverso la produzione di un documentario, Weight of Gold, le sofferenze mentali a cui la maggior parte degli olimpionici USA ha dovuto far fronte negli anni.
In una recente intervista, Phelps ha messo allo scoperto il trattamento che i tecnici e i medici dello staff olimpico degli Stati Uniti riservavano (e riservano) ai loro atleti. In sostanza, ha spiegato l’ex nuotatore, i vari sportivi impegnati nella preparazione delle Olimpiadi venivano visti come risorse da coltivare e seguire solo nella breve finestra di avvicinamento all’importante appuntamento iridato che si tiene ogni quattro anni. In questo lasso di tempo gli atleti, in sostanza, venivano spremuti fino al midollo, sia fisicamente che soprattutto psicologicamente, dagli allenamenti al regime alimentare da seguire per vincere. Finito il periodo “eleggibile” per le Olimpiadi (ovvero, sforata l’età anagrafica per competere e vincere ai giochi), gli stessi venivano lasciati al loro destino. Si abbandonavano i vecchi atleti per concentrarsi su quelli più giovani; insomma, carne fresca da portare al macello.
Da simbolo del Comitato Olimpico, quindi, Michael Phelps è passato al ruolo del grande accusatore, oggi malvisto da tutti i dirigenti sportivi americani che hanno accusato il “proiettile di Baltimora” di aver sfruttato in esclusiva, durante gli anni della sua carriera professionistica, gli enormi vantaggi e i privilegi concessi dall’organizzazione.
Eppure, anche quest’aspetto è stato sottolineato da Phelps nel documentario, proprio a sottolineare il metodo con cui i funzionari del Comitato Olimpico americano seguivano i migliori, ovvero gli atleti che avevano più chance di arrivare a medaglia, a discapito di tutti gli altri.
L’uscita di “Weight of Gold” negli ultimi mesi ha spinto i dirigenti olimpici americani a formare una task force che supervisionasse sulla salute mentale dei propri atleti. Sono circa mille i tesserati che l’organizzazione americana controlla ogni ciclo quadriennale di gare (tra giochi olimpici estivi ed invernali), eppure nello staff medico della federazione sono presenti soltanto tre medici specialisti in malattie e disturbi mentali.
Due sono i suicidi degli ex olimpionici USA avvenuti negli ultimi due anni, il primo quello della ciclista medaglia d’argento a Rio Kelly Catlin nella primavera del 2019, ed il secondo, a maggio di quest’anno, di Pavle Jovanovic, ex campione di bob olimpico. Entrambi, secondo quanto raccontato, soffrivano di depressione.
Anche Phelps, prima delle Olimpiadi del 2016, ha vissuto per mesi con il male oscuro, meditando più volte di farla finita. Un periodo tormentato della sua vita che lo ha portato anche a fare i conti con la legge, dopo essere stato arrestato per guida in stato d’ebbrezza nella sua Baltimora. Quell’episodio è stato riletto in seguito dal nuotatore, che successivamente si è sottoposto a cicli di sedute dallo psicoterapeuta prima della completa guarigione, come lo sfogo naturale di anni passati a reprimere tutte quelle emozioni che potevano rappresentare qualcosa di diverso o distogliere dall’obiettivo della vittoria in gara.
Il pluricampione olimpico ha così voluto raccontare la sua esperienza e quella di tanti altri atleti, nella speranza che in futuro nessuno sportivo si trovi più ad affrontare questo tipo di problematica.